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La nuova era economica sta arrivando


Che cos’è un sito?

È un archivio.

La storia di un’azienda o di un individuo può essere raccolta in un sito.
Come accadeva per le basi di dati, collegate tra loro tramite tabelle nei primi sistemi operativi aziendali o d’ufficio, organizzati in mini-reti interne, oggi qualunque attività può essere raccolta in una grande “portineria” digitale collegata ad archivi informatici remoti.

La reception che ci accompagna per tutta la vita è la nostra pagina principale.

Ma chi raccoglie questo insieme di portinerie personali?
La ragnatela elettronica a portata mondiale, che si è ormai trasformata in un libro unico del sapere, aperto alla scrittura.

Chi non si iscrive, o non viene iscritto da terzi, non potrà essere ricordato in questo circuito.
Così come, un tempo, chi si affidava al proprio circolo culturale veniva ricordato dai posteri solo se meritevole o detentore di un ruolo socialmente utile, allo stesso modo oggi chi ha svolto esclusivamente il proprio lavoro — da dipendente o da autonomo — verrà inserito nell’enciclopedia elettronica globale solo se le sue azioni concrete, positive o negative, saranno state rilevate da giornalisti, relatori, analisti o testimoni.

Dai Tempi delle Macchine Chiuse alla Rete Aperta

L’epoca dei sistemi BCS della Olivetti fu il tempo delle stanza custode.
Ogni macchina viveva come un monaco in clausura: silenziosa, concentrata, devota al proprio unico compito.
Si entrava da una sola porta e da quella stessa porta usciva ciò che la comunità degli impiegati considerava “il dato”.
Era un sapere disciplinato, senza divagazioni.
Un sapere che non chiedeva il mondo, ma soltanto la sua mensola di lavoro.

Con l’arrivo degli IBM 34 e 36, l’uomo si accorse che le porte potevano raddoppiare.
Le macchine non erano più monaci solitari: cominciavano a comunicare, a chiedere e a rispondere, come se tra loro nascesse un dialogo sommesso.
L’archivio diventava una piccola officina in cui più mani potevano toccare lo stesso fascicolo.
Era l’alba della collaborazione, ancora prudente, ancora sorvegliata.

L’AS400 fu la prima reggia compatta.
Custodiva i registri con un rigore quasi notarile, e teneva insieme i reparti come un direttore amministrativo che conosce ogni stanza della propria casa.
Lo si consultava come si consulta un saggio anziano: pochi fronzoli, molta sostanza.
Le aziende vi hanno depositato per anni la loro memoria, certi che nessun vento esterno l’avrebbe smossa.
La stabilità divenne una virtù, e intorno a questa virtù si costruirono interi corridoi di attività umana.

Poi arrivarono i computer personali.
Prima i Mac, che sembravano portare un’aria diversa, quasi domestica.
Erano finestre luminose su una scrivania ordinata, un invito alla creatività e alla gentilezza d’uso.
Erano macchine che sorridevano all’utente, come se lo riconoscessero.

Poi i comuni “pc”, più popolari, più multiformi, più coraggiosi nella loro apertura al mondo.
Portarono la sensazione che ognuno potesse avere non solo un attrezzo, ma un posto di lavoro privato, da cui custodire o diffondere il proprio sapere.
Il sapere diventava personalizzabile, mobile, quasi tascabile.

E mentre le macchine si avvicinavano alle persone, in Francia nacque il Minitel:
una piccola finestra nei salotti, un’anticipazione della piazza digitale.
Era ancora un mondo recintato, dove l’accesso passava per una soglia definita, come si entra in un ufficio pubblico per consultare un registro.
Ma già si percepiva il fermento di un mondo che avrebbe chiesto più spazio, più voce, più scambio.

Fu allora che arrivò Internet.
Non più la stanza, non più la reggia, non più la piazza chiusa, ma il continente intero.
Una ragnatela sconfinata, capace di collegare le portinerie di tutte le case del mondo.
Lì, la memoria smise di appartenere a un solo edificio: divenne circolante, condivisa, esposta alla luce di tutti.

Il primo tempo della rete, quello che oggi chiamiamo Web 1, era simile a un grande archivio pubblico.
Si entrava per consultare.
Pochi parlavano, molti ascoltavano.
La parola era prerogativa degli scribi moderni: redattori, istituti, amministratori del sapere.

Con il Web 2, l’archivio divenne piazza aperta.
Ognuno poté portare il proprio banco, raccontare la propria storia, esporre la propria mercanzia.
La memoria del mondo si popolò di voci, immagini, testimonianze, senza più un custode unico.
La portineria diventò personale, quotidiana, mobile come un taccuino.

Poi giunse il Web 3, che promise di restituire a ciascuno la proprietà delle proprie tracce.
Una memoria non più soltanto esposta, ma anche sigillata, come se ognuno potesse depositare in un registro indelebile il proprio cammino.
Il sapere tornava così a essere un patrimonio affidato al singolo, pur continuando a vivere nella rete globale.

E così, dall’epoca delle macchine chiuse a quella della rete aperta,
la storia della tecnologia è diventata storia della memoria umana.
Siamo passati da pochi archivi custoditi a mano,
a un grande archivio condiviso, dove ogni persona può essere presente o assente, ricordata o dimenticata, a seconda delle tracce che decide — o non decide — di lasciare.

Oggi la vera domanda non è più quale macchina usiamo,
ma quale parte di noi affidiamo a questa rete che non dimentica.


Perché il Web 3 annuncia la nuova rivoluzione economica

Il Web 3 non è soltanto una fase ulteriore della rete: è un riordino delle responsabilità.
Per la prima volta, la memoria digitale non è più ospitata soltanto da grandi custodi, ma torna nelle mani di chi la produce.
È come se ogni persona e ogni impresa potessero finalmente tenere il proprio libro contabile, senza timore che altri lo smarriscano o lo alterino.

In questa nuova stagione, l’impresa non sarà più un insieme di uffici dispersi, ma un organismo pensante, capace di apprendere dai propri gesti ripetuti.
La nuova intelligenza aziendale non sarà un oracolo esterno, ma un apprendista diligente, da istruire con calma, precisione e metodo.
Se le insegneremo bene le routine che oggi consumano ore di lavoro — calcoli, conferme, trascrizioni, passaggi formali — essa le restituirà come automatismi fedeli, privi di stanchezza e di errore.

Il risparmio di tempo sarà enorme.
Non più attività ripetute cento volte al mese, ma una sola istruzione ben data, che la macchina ripeterà in nostro nome con la cura di un allievo devoto.
E il risparmio non sarà soltanto di ore, ma di risorse, di sprechi, di materiali, di energia.
La sostenibilità non nascerà più da una generosa rinuncia, ma dall’esattezza dei processi: il lavoro che non si ripete inutilmente è già di per sé un dono al mondo.

Così, molti mestieri fisici, esposti alla fatica, ai rischi, all’usura, si alleggeriranno.
Non scompariranno: si trasformeranno.
Da esecutori diventeremo custodi del processo, come chi controlla un mulino per accertarsi che nessuna pietra s’incanti.
Il lavoro si farà più lieve, più umano, più coerente con le possibilità della persona.

Molti settori produttivi, e persino interi rami di attività oggi ingessati dalla ripetizione, ritroveranno un’armonia nuova.
Il lavoratore non sarà più la forza manuale che sostiene l’ingranaggio, ma lo sguardo che guida l’ingranaggio.
E quando una società intera comincia a risparmiare tempo, a evitare errori, a ridurre sprechi, a restituire serenità alle proprie attività quotidiane, allora il benessere personale cresce come un frutto naturale, e quello collettivo lo segue senza sforzo.

Il Web 3 promette questo:
un mondo in cui la memoria è di tutti, l’organizzazione è più limpida, e la fatica non è più il prezzo dell’esistenza, ma soltanto una delle sue forme possibili.
Se sapremo educare la nostra nuova intelligenza — con la disciplina degli antichi maestri e la visione dei costruttori — allora la rivoluzione non sarà brusca né temuta: sarà l’esito logico di un mondo che decide di essere più efficiente per essere più umano.

Il futuro non sarà fatto di macchine che ci sostituiscono,
ma di macchine che non ci costringono più a compiti che non appartengono alla nostra natura.
E quando l’uomo torna alla propria natura,
la prosperità non è più un traguardo,
ma un semplice stato di quiete raggiunta.


E mentre si apre il mondo del Web 3, con la possibilità di alleggerire la fatica, di rendere il lavoro più umano e sostenibile, restano coloro che ancora non hanno compreso i principi elementari della propria presenza professionale.

Ci sono coloro che non hanno capito che possedere un sito per la propria azienda, per la propria iniziativa, per la propria attività, non è un ornamento né un capriccio, ma la prima traccia della propria storia, il custode della memoria delle proprie azioni, la garanzia di una crescita certa e visibile, trasparente e duratura.

Ci sono coloro che non hanno compreso che strutturare una contabilità ordinata, sorretta da registri solidi e collegata a un archivio sicuro, dove ogni registro funge da custode attento della verità dei dati, della conferma dell’identità e della quantità effettiva trattata, significa proteggere ciò che si produce e garantire la fedeltà dei propri atti.

Ci sono coloro che non hanno scritto una biografia, che non hanno tracciato la propria presenza, che non hanno lasciato alcuna testimonianza delle proprie opere, delle proprie conquiste, dei propri meriti.
Coloro che non hanno ricevuto alcuna attestazione da parte degli organi ufficiali, degli ordini professionali, delle istituzioni accademiche o scientifiche, restano come case senza porta, come stanze buie, come archivi che nessuno visiterà.

E tuttavia, non è un rimprovero, ma un invito: la storia di chi ancora esita è sospesa, pronta a essere scritta.
La porta esiste, la memoria può essere raccolta, la presenza può essere stabilita.
Chi sceglierà di aprirla scoprirà che la luce che entra illumina non soltanto la propria via, ma anche quella di chi cammina accanto, e insieme si misura il futuro che possiamo meritare.

Così, mentre alcuni esitano ancora, altri già tracciano la propria storia nel libro unico della conoscenza, e chi osa custodire la propria memoria avrà come testimone il mondo intero e come compagno il tempo stesso.

Quale questione porsi

Personalmente, io, Ermanno Faccio, nella visione di consulente di proprietà intellettuale aziendale e personale, osservo da tempo come il valore vero non risieda soltanto nei beni tangibili, nelle macchine o negli edifici, ma nelle tracce che ciascuno lascia del proprio ingegno e della propria attività.

Possedere un sito, custodire registri ordinati, strutturare una memoria affidabile e trasparente, significa reclamare il diritto alla propria esistenza nella storia economica e culturale. Significa affermare che ogni azione, ogni progetto, ogni risultato non è solo un fatto del presente, ma un segno destinato a durare, a essere riconosciuto, a entrare in relazione con il mondo e con chi verrà dopo di noi.

Chi ignora questi strumenti, chi non sa o non vuole lasciare traccia della propria opera, resta sospeso ai margini, come un viaggiatore senza sentiero, esposto al vento del tempo e dell’oblio.
Chi comprende, chi agisce, chi costruisce con metodo e intelligenza, dispone invece di una custodia solida della propria vita professionale e personale, e può percorrere il cammino del futuro con chiarezza, leggerezza e dignità.

Il mio consiglio, come custode del sapere applicato alla proprietà intellettuale, è semplice: non rinunciate a essere presenti nel grande archivio del mondo. Scrivete la vostra storia. Difendetela. E assicuratevi che essa possa essere letta, apprezzata e tramandata, perché solo così ogni vostro gesto trova la sua piena misura e contribuisce al bene comune.


Ermanno Faccio
Consulente di proprietà intellettuale aziendale e personale

https://mas.to/@Youprom

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